ARIO (circa la natura di Cristo) (4, 6-8. 32)

(IV, 6) L’opinione di Ario sul Figlio di Dio

Ario porta alle estreme conseguenze l’eresia del subordinazionismo, dicendo che il Verbo sarebbe una creatura, per quanto eccellente e superiore a ogni altra, così da essere chiamato Dio.

(IV, 7) Confutazione dell’opinione di Ario sul Figlio di Dio

Se Cristo è vero Figlio, ne segue che è vero Dio, poiché il generato è della stessa natura del generante. L’Apostolo, in Fil 2, 6-7, dice che Cristo Gesù era «nella forma di Dio», il che significa che era nella natura divina, cioè era Dio. – Ricordiamo le parole dell’apostolo Tommaso [Gv 20,28]: «Mio Signore e Mio Dio!».

(IV 8) Soluzione delle argomentazioni di Ario

La frase del Signore: «Il Padre è più grande di me» si riferisce alla natura umana. – Il fatto che il Padre dà e il Figlio riceve non indica se non la generazione del Figlio. L’espressione poi che «il Figlio da sé non fare nulla» risulta chiara perché, dal momento che in Dio l’essere e l’agire si identificano, se egli agisse da sé, esisterebbe anche da sé, e quindi non sarebbe più Figlio.

(IV, 32) L’errore di Ario e di Apollinare riguardo all’anima di Cristo

Alcuni caddero in errore non solo riguardo al corpo di Cristo, ma anche riguardo alla sua anima. Ario infatti riteneva che in Cristo non ci fosse l’anima, ma che egli avesse assunto la sola carne, con la divinità al posto dell’anima […]. Ora, in base a quanto sin qui detto, è chiaro che questa tesi è insostenibile. Infatti: È evidente che l’anima è la parte principale della natura umana, essendone la forma. Se dunque Cristo non aveva l’anima, non era un vero uomo, il che è contro l’affermazione dell’Apostolo in 1 Tm 2,5: «Unico è il mediatore fra Dio e l’uomo: l’uomo Cristo Gesù». Nel Vangelo (Mt 26,38) si dice espressamente che Cristo aveva un’anima: «La mia anima è triste fino alla morte»; e in Gv 12,27: «Ora l’anima mia è turbata».

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