AVERROÈ (circa l’ultima felicità umana) (3, 43-44)

(III, 43) In questa vita non possiamo intendere le sostanze separate come propone Averroè

[n. 5] È infatti diverso il rapporto dell’intelletto agente con i dati speculativi che esso produce e con le sostanze separate che esso non produce, ma soltanto conosce. Quindi, per il fatto che produce in noi i primi dati di ordine speculativo, non consegue che si unisca a noi in quanto ha la funzione di conoscere le sostanze separate come vuole Averroè: in tale argomentazione si riscontra manifestamente il sofisma della fallacia di accidente.

(III, 44) L’ultima felicità umana non si trova nella conoscenza delle sostanze separate supposta da tali opinioni

[n. 1]. Quanto è indirizzato a un fine che non può conseguire è vano. Ora, siccome il fine dell’uomo è la felicità verso la quale tende il suo desiderio naturale, non si può riporre la felicità umana in qualcosa che l’uomo non può raggiungere: altrimenti ne verrebbe che l’uomo è un essere vano e il suo desiderio naturale sarebbe vano, il che è impossibile. D’altra parte, che non sia possibile per l’uomo conoscere le sostanze separate secondo le opinioni suddette, è manifesto in base a quanto sin qui detto. Perciò vale il titolo. [n. 3]. Posto che la saldatura suddetta dell’intelletto agente con l’uomo fosse possibile come essi ce la descrivono, è evidente che tale perfezione interessa pochissimi uomini […]. Ora, la felicità è un bene universale e comune che i più possono raggiungere se non sono menomati, come dice Aristotele [1 Et., c. 9, n. 4]. Quindi …

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