(II, 7) A Dio va attribuita la potenza attiva
La potenza attiva è il principio dell’agire su ciò che è altro in quanto altro. Ora, a Dio compete di essere per altre cose principio dell’essere. Quindi a lui va attribuita la potenza attiva. – La potenza attiva accompagna l’ente in atto. Ora, a Dio compete di essere in atto. Quindi gli compete la potenza attiva. Da qui le affermazioni del Salmista: «Tu sei potente, Signore» [Sal 88,9]. E altrove [Sal 70,19]: «La tua giustizia, o Dio, è alta come il cielo, tu hai fatto cose grandi: chi è come te, o Dio?».
(II, 8) La potenza di Dio è la sua sostanza
Ogni essere che è dotato di potenza senza identificarsi con essa, è potente perché partecipa della potenza di altri. Ora, a Dio nulla può appartenere per partecipazione, quindi egli è la sua potenza. Nelle cose in cui le potenze non si identificano con la sostanza, le potenze stesse sono accidenti: per cui la potenza naturale viene posta nella seconda specie della qualità. Ora, in Dio non ci può essere nulla di accidentale [cf. I, c. 23]. Quindi Dio è la sua potenza. Tutto ciò che esiste per altro si riconduce a ciò che esiste per sé quale primo. Ora, gli altri agenti si riconducono a Dio come al primo agente. Egli dunque è un agente per se stesso. Ora, ciò che agisce per se stesso agisce in forza della sua essenza. D’altra parte, ciò in forza di cui uno agisce è la sua potenza attiva. Quindi l’essenza stessa di Dio è la sua potenza attiva.
(II, 9) La potenza di Dio è la sua azione
La potenza di Dio è la sua sostanza, come abbiamo appena visto. D’altra parte anche la sua azione è la sua sostanza, come si è mostrato nel primo libro [c. 45] a proposito dell’attività intellettiva; e l’argomentazione vale anche per le altre attività. Quindi la potenza e l’azione, identificandosi ambedue con la sostanza, si identificano tra loro. Un’azione che non è la sostanza della causa agente inerisce a questa come un accidente […]. Ora, in Dio non ci può essere nulla di accidentale. Perciò in Dio l’azione non si distingue né dalla sua sostanza, né dalla sua potenza.
(II, 10) In che senso la potenza è attribuita a Dio
La potenza è attribuita in tutta verità a Dio rispetto alle sue opere, e non già rispetto alle sue azioni, solo per il nostro modo di intendere, in quanto il nostro intelletto considera le due cose, cioè la potenza e l’azione di Dio, con concetti diversi […]. In realtà, propriamente parlando, l’intelletto e la volontà non sono in Dio quali potenze, ma solo come azioni.
(II, 11) Alcune denominazioni sono attribuite a Dio in rapporto alle creature
La somiglianza è una relazione. Ora Dio, come tutte le cause agenti, produce delle cose che gli somigliano [cf. I, c. 29]. E così alcuni attributi vengono riferiti a Dio in senso relativo. La scienza dice relazione alle cose che si sanno. Ora, Dio ha la scienza non solo di se stesso, ma anche delle cose. Dunque esistono dei termini che indicano relazione tra Dio e le cose. Il motore è correlativo al mosso, come la causa agente è correlativa all’effetto prodotto. Ora Dio, come abbiamo dimostrato [I, c. 13], è un agente e un movente non mosso. Perciò si dicono di lui delle relazioni.
(II,12) Le relazioni fra Dio e le creature non sono reali in Dio
Esse non possono trovarsi in Dio come accidenti: poiché in lui va escluso ogni accidente [cf. I, c. 23]. E nemmeno potrebbero identificarsi con la sostanza di Dio. Infatti, poiché sono relative quelle entità che «secondo il loro essere dicono rapporto ad altre cose», come scrive il Filosofo nei Predicamenti [C. 5, nn.1,2], bisognerebbe che la sostanza di Dio, per quello che è, dica rapporto ad altro. Ora, ciò che è in rapporto ad altro dipende in un certo modo da quell’altro […]. Bisognerebbe allora che la sostanza di Dio fosse intrinsecamente dipendente da altro. E così Dio non sarebbe necessario in se stesso [cf. I, c. 13]. Tali relazioni dunque non sono reali in Dio. Le relazioni suddette si dicono di Dio non solo rispetto agli esseri esistenti in atto, ma anche a quelli in potenza: poiché anche di questi egli è a conoscenza, e anche rispetto ad essi viene denominato primo ente e sommo bene. Ora, nessun ente può avere relazioni reali con cose esistenti solo in potenza […]. D’altra parte, Dio si riferisce alle cose in atto non diversamente da come si riferisce a quelle in potenza […]. Quindi non si riferisce alle altre cose con una relazione reale esistente in lui.
(II, 13 – 14) Valore delle relazioni che si attribuiscono a Dio
Non si può dire che le suddette relazioni siano come delle realtà sussistenti fuori di Dio. Dio infatti, essendo il primo tra gli esseri e il sommo tra i beni, dovrebbe avere delle relazioni anche con quelle relazioni, se fossero delle realtà sussistenti e così via. Si stabilirebbe così un processo all’infinito. Perciò quelle relazioni non sono realtà sussistenti fuori di Dio […]. Non rimane dunque se non che esse gli vengano attribuite solo per il nostro modo di intendere, per il fatto che le altre cose si riferiscono a lui realmente. Infatti il nostro intelletto, nell’apprendere che una cosa si riferisce a un’altra, apprende simultaneamente la relazione di quest’ultima con la prima: sebbene talora questa non gli si riferisca realmente. E così pure risulta chiaro che è diverso il modo di attribuire a Dio le relazioni suddette e i rimanenti attributi divini. Infatti questi ultimi, quali la sapienza e la volontà, esprimono la sua essenza; non così invece queste relazioni, che gli vengono attribuite solo secondo il nostro modo di intendere. Non per questo però il nostro intelletto si inganna. Poiché nel fatto stesso che intende le relazioni reali degli effetti come terminanti a Dio, viene a predicare qualcosa di relativo in Dio stesso. Inoltre è così chiarito come non deroghi alla semplicità di Dio la molteplicità delle relazioni che a lui si attribuiscono senza che indichino la sua essenza: esse infatti dipendono dal nostro modo di intendere. E nulla impedisce che il nostro intelletto consideri una realtà semplice sotto molteplici relazioni.
(II, 15) Dio è causa dell’essere per tutte le cose
Dobbiamo dimostrare che, all’infuori di Dio, nulla può avere l’essere se non da lui. Ciò che spetta a una data cosa in forza della sua natura non può trovarsi in essa né minorato né imperfetto […]. Quindi, in ogni genere di cose, l’essere a cui spetta in grado somma l’attribuzione di quel genere sarà la causa di tutto ciò che rientra in tale genere. Ora, Dio è al sommo dell’essere [cf. I, c. 13]. Quindi è la causa di tutto ciò di cui si dice che è ente. Ciò che è per essenza è causa di tutti gli enti che sono per partecipazione […]. Ora, Dio è ente per essenza, poiché è lo stesso essere. Invece ogni altro ente è ente per partecipazione: poiché di enti che siano il loro essere non si può riscontrarne che uno solo [cf. I, c. 42]. Quindi Dio è causa dell’essere per tutte le altre cose. Questa dottrina è confermata dalla divina rivelazione. Nei Salmi infatti si legge [145, 6]: «Egli ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che in essi si trova»; Gv 1,3: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto»; Rm 11,36: «Da lui, per lui e in lui sono tutte le cose. A lui gloria nei secoli».