FEDE, atto di fede (1, 4-5. 8; 3, 118.152)

(I, 4) È conveniente che all’uomo vengano proposte da credere anche le verità divine raggiungibili dalla ragione naturale

In caso contrario, infatti, tali verità verrebbero conosciute da pochi, con difficoltà e con mescolanza di errori.

(I, 5) È opportuno che all’uomo vengano proposte da credere cose che la ragione umana non può investigare

Ciò per tre motivi. Primo, per accendere il desiderio; secondo, per mostrare la trascendenza di Dio; terzo, per porre un freno alla presunzione.

(I, 8) Il rapporto tra la ragione umana e le verità di fede

Anche se le verità di fede non godono dell’evidenza, tuttavia una conoscenza imperfetta di realtà sublimi dà più gioia di una conoscenza perfetta di realtà meno nobili.

(III, 118) La legge divina obbliga gli uomini alla vera fede

L’inizio dell’amore spirituale deve essere la visione intelligibile dell’oggetto amabile spirituale. Ora, nella vita presente, la visione di quell’oggetto amabile spirituale che è Dio, non si può avere se non mediante la fede. Dunque è necessario che dalla legge divina siamo indotti alla vera fede. Un’opinione falsa nel campo intellettuale corrisponde al vizio, contrapposto alla virtù, nel campo morale, poiché «il vero è il bene dell’intelletto» [Et. 6, c. 2, n. 3]. Ora, alla legge divina spetta proibire i vizi. Dunque spetta ad essa anche escludere le false opinioni su Dio e sulle cose di Dio. Di qui le parole di Eb 11,6: «Senza la fede è impossibile piacere a Dio». E nell’Esodo (20,2) prima degli altri precetti della legge, si prescrive la retta fede in Dio: «Ascolta, Israele: il Signore Dio tuo è uno solo». Viene così confutato l’errore di certuni secondo i quali per la salvezza dell’uomo non conta quale sia la fede con cui egli serve Dio.

(III, 152) La grazia di Dio causa in noi la fede

Il moto con il quale siamo guidati all’ultimo fine della grazia, è volontario [cf. c. 148]. Ora, non può esserci un moto volontario verso qualcosa se questo qualcosa non è conosciuto. Quindi la grazia deve prestabilire in noi la conoscenza dell’ultimo fine, affinché volontariamente ci dirigiamo verso di esso. Questa conoscenza però nello stato presente non può essere secondo una visione aperta, come si è dimostrato [cc 48 e 52]. Dovrà essere quindi una conoscenza per fede. All’uomo, per conseguire l’ultimo fine, viene concessa una perfezione superiore alla sua natura, cioè la grazia, come abbiamo visto [cf. c. 150]. Bisogna quindi che anche al di sopra della conoscenza naturale sia concessa all’uomo una certa conoscenza che superi la ragione naturale. E questa è la conoscenza della fede, che ha per oggetto realtà che non si possono vedere con la ragione naturale.

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