(III, 17) Tutte le cose sono ordinate a un unico fine, che è Dio
Se è vero che nessuna cosa tende a un oggetto come al suo fine se non in quanto è un bene, bisogna che il bene in quanto bene sia un fine. Perciò colui che è il sommo bene sarà massimamente il fine di tutte le cose. Ora, il sommo bene è uno soltanto, ed è Dio, come abbiamo visto nel Primo Libro (c. 42). Quindi vale il titolo. In ciascun genere di cause la causa prima è più causa della causa seconda […]. Bisogna quindi che quell’essere che è la causa prima nell’ordine delle cause finali sia causa finale più della causa finale immediata. Ora, Dio è la causa prima nell’ordine delle cause finali, essendo il sommo nell’ordine dei beni. Dunque egli è fine di ciascuna cosa più di qualsiasi fine immediato. Di qui le parole di Pr 16,4: «Tutte le cose il Signore le ha fatte per se stesso»; e di Ap 22,13: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo».
(III, 18) In che modo Dio è il fine di tutte le cose
Dio non può essere il fine di tutte le cose come qualcosa di prodotto [è il caso dell’artigiano], ma solo come qualcosa di preesistente da conseguire. Dio non agisce per conseguire, ma per elargire. Infatti, essendo in atto, non può che elargire. Le cose dunque sono ordinate a Dio non come a un fine a cui apportare qualcosa, ma come oggetto da ottenere a suo modo da lui stesso, essendo egli stesso il fine.