(III, 48) L’ultima felicità umana non può trovarsi in questa vita
Non potendo infatti trovarsi l’ultima felicità se non nella conoscenza di Dio [c. 37], e d’altra parte essendo tale conoscenza, in questa vita, assai imperfetta [cc. 38 ss.], ne viene che è impossibile che l’ultima felicità dell’uomo sia in questa vita. L’ultimo fine dell’uomo esaurisce il suo desiderio naturale, cosicché, raggiuntolo, egli non cerca altro. Ora, nella vita presente ciò non può mai verificarsi, poiché più uno conosce, più cresce il desiderio di conoscere, che è naturale nell’uomo. Quindi … L’uomo per natura rifugge la morte, e si rattrista di essa, non solo quando essa incombe ed egli la sente, ma anche quando la pensa. Ora, l’uomo in questa vita non può raggiungere la condizione di non morire. E così via. Quindi vale il titolo. Perciò l’ultima felicità dell’uomo si troverà nella conoscenza che l’anima umana ha dopo questa vita, nel modo in cui lo conoscono le sostanze separate. Perciò il Signore [Mt 5, 12] ci promette la «ricompensa nei cieli»; e in Mt 22,30 dice che i santi «saranno come gli angeli», che «vedono sempre Dio nei cieli» [Mt 18,10].
(III, 52) Nessuna sostanza creata può giungere a vedere Dio per essenza con la propria facoltà naturale
Infatti vedere Dio per essenza è proprio della natura divina […], per cui nessuna sostanza intellettiva può farlo se non per l’intervento di Dio stesso. Perché l’intelletto creato veda l’essenza di Dio bisogna che l’essenza divina si unisca all’intelletto quale forma intelligibile, come abbiamo visto sopra [c. prec.]. Quindi non è possibile che un intelletto creato raggiunga questa visione senza un’azione da parte di Dio. Di qui le parole di san Paolo [Rm 6,23]: «Grazia di Dio è la vita eterna». Infatti abbiamo visto che la beatitudine dell’uomo sta nella visione di Dio, che viene denominata vita eterna: e ad essa non possiamo giungere se non per la grazia di Dio, poiché tale visione supera tutte le capacità della creatura, e non è possibile raggiungerla senza un dono di Dio. Ora, quanto viene concesso così alle creature viene denominato grazia di Dio. E il Signore ha detto [Gv 14,21]: «Sarò io a manifestare a lui me stesso».
(III, 62) Coloro che vedono Dio, lo vedranno in perpetuo
La visione di Dio è sommamente amata da coloro che la possiedono. Quindi questi non potrebbero non rattristarsi se sapessero di doverla perdere. Ma se così fosse, lo saprebbero: quindi non sarebbero beati. Se due cose prima unite si separano, devono questa separazione a un mutamento di almeno una di esse […]. Ora, un intelletto creato vede Dio per il fatto che in qualche modo si unisce a lui [cf. c. 51]. Se quindi tale unione cessasse, bisognerebbe che ciò avvenisse per una mutazione o della realtà divina, o dell’intelletto che la contempla. Ma entrambe le cose sono impossibili: poiché la realtà divina è immutabile [cf. I, c. 13], e anche la sostanza intellettiva è elevata al di sopra di ogni mutazione quando vede l’essenza di Dio. È quindi impossibile che uno decada da quella felicità con la quale vede l’essenza di Dio. Di qui le parole del Salmista (83,5): «Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore: ti loderanno nei secoli dei secoli». E ancora (124,1): «Non vacillerà in eterno chi abita in Gerusalemme». Is 3,20: «I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, città dell’opulenza, padiglione che non potrà mai essere rimosso, i cui pioli non saranno divelti in eterno, le cui corde non saranno mai spezzate: poiché ivi soltanto risiede nella sua magnificenza il Signore Dio nostro». Ap 3,12: «Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio, e non uscirà più fuori».
(III, 147) La creatura umana ha bisogno dell’aiuto di Dio per conseguire la beatitudine
Se l’uomo è ordinato a un fine che supera la sua capacità naturale, è necessario che Dio gli fornisca un aiuto soprannaturale col quale tendere al fine. Vedere la prima verità in se stessa trascende la facoltà della natura umana, così da essere proprio soltanto di Dio, come abbiamo mostrato sopra [c. 52]. Quindi l’uomo ha bisogno dell’aiuto di Dio per raggiungere questo fine. Gv 6,44: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato»; 15,4: «Come il tralcio non può dare frutto da se stesso se non rimane unito alla vite, così nemmeno voi se non rimarrete in me».