(III, 130) I consigli che sono dati nella legge divina
Nella legge divina vengono dati dei consigli per distogliere gli esseri umani dalle occupazioni della vita presente, per quanto è possibile a chi vive la vita terrena, affinché l’anima possa volgersi a Dio più liberamente. La cosa però non è necessaria al punto che se non la si segue venga meno la giustizia […]. Perciò questi ammonimenti sono chiamati consigli, e non precetti. Ora, ogni essere umano ordinariamente è preso da tre preoccupazioni: primo, circa la propria persona, per decidere ciò che deve fare, e con chi convivere; secondo, circa le persone congiunte, soprattutto circa il coniuge e i figli; terzo, circa i beni esterni da procurare, necessari per il sostentamento. Per togliere quindi le preoccupazioni circa i beni esterni viene dato nella legge divina il consiglio della povertà [cf. Mt 19,21]. – Per togliere la preoccupazione del coniuge e dei figli viene dato il consiglio della verginità, o della continenza [cf. 1 Cor 7,25]. – Per togliere infine la preoccupazione circa se stessi si dà il consiglio dell’obbedienza [cf. Eb 13,17]. Poiché dunque questi tre consigli predispongono alla perfezione, e sono effetti e segni della perfezione, è giusto che il genere di vita da essi caratterizzato venga considerato uno Stato di perfezione.
(III, 131-138) Lo stato di perfezione
Questo gruppo di capitoli, dedicato alla difesa dello Stato di perfezione, cioè della vita religiosa, ha una sua unità. Si pongono un gran numero di difficoltà, la posizione del Maestro, lo scioglimento delle difficoltà. Dall’ampiezza inusitata della trattazione e dalla vivacità insolita dell’esposizione si capisce che per san Tommaso si trattava di un argomento di estrema attualità. Essendo praticamente impossibile sintetizzare queste pagine, lasciandone la consultazione al lettore volonteroso, passiamo direttamente al capitolo 139, che riprende lo stile usuale.
(III, 139) Né i meriti né i peccati sono uguali
Tra gli atti umani il più perfetto è quello che è ordinato immediatamente all’ultimo fine, cioè a Dio. E dopo di esso un atto è specificamente migliore dell’altro quanto più il suo oggetto si avvicina a Dio. Il modo migliore di adempiere i precetti della legge è quello di farlo mossi dalla carità [cf. cc. 116 e 128]. Ora, accade che qualcuno compia ciò che si deve fare con una carità maggiore. Quindi tra gli atti di virtù uno sarà migliore dell’altro. – Gli atti umani sono resi buoni dalle virtù, e d’altra parte la virtù può essere in uno più intensa che in un altro, quindi … Di qui 1Cor 7,38: «Chi marita le proprie figlie fa bene, ma chi non le marita fa meglio». E per le stesse ragioni si vede che non tutti i peccati sono uguali, poiché con certi peccati ci si allontana dal fine più che con altri, e viene pervertito maggiormente l’ordine della ragione, e si reca un danno maggiore al prossimo. Per questo si legge in Ez 16,47: «Hai fatto cose più scellerate di quelle, in tutti i tuoi comportamenti».