LUME DI GLORIA (3, 53)

(III, 53) L’intelletto creato ha bisogno dell’illuminazione divina per vedere Dio per essenza

È impossibile che l’essenza divina diventi la forma intelligibile di un intelletto creato se non perché tale intelletto partecipa a una somiglianza divina. Quindi tale partecipazione è necessaria per vedere la sostanza divina […]. La disposizione con la quale l’intelletto creato viene elevato all’intellezione dell’essenza divina giustamente viene detta luce della gloria (lumen gloriae), in quanto dà all’intelletto la capacità di intendere attualmente. È questa la luce di cui il Salmista dice: «Nella tua luce vedremo la luce» (35, 10). E nell’Apocalisse si legge (22,3) che la città dei beati non ha bisogno «né del sole né della luna, poiché la luce di Dio la illumina». E in Is 60, 19: «Non avrai più il sole per la luce del giorno, né ti illuminerà il chiarore della luna, ma la tua luce sempiterna sarà il Signore, e il tuo Dio la tua gloria». E poiché in Dio c’è identità tra essere e intendere, poiché egli è la causa dell’atto intellettivo di tutte le intelligenze, giustamente viene denominato luce: Gv 1,9 «Era lui la luce vera che illumina tutti gli uomini che vengono in questo mondo»; 1 Gv 1,5 «Dio è luce»; Sal 103, 2: «Cinto di luce come di un manto». – Per questo nella Sacra Scrittura sia a Dio che agli angeli vengono attribuite figure di fuoco, data appunto la luminosità del fuoco.

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