(III,149) L’uomo non può meritare l’aiuto divino
Qualsiasi cosa sta a ciò che è superiore come la materia alla forma. Ora, la materia non muove se stessa alla propria perfezione, ma deve essere mossa da altro. Quindi l’uomo non può muovere se stesso al conseguimento dell’aiuto divino, che gli è superiore, ma piuttosto deve essere mosso da Dio per poterlo conseguire [c. 147]. D’altra parte la mozione del movente precede il moto di ciò che è mosso sia nell’ordine logico che in quello causale. Perciò l’aiuto divino è dato non perché ci siamo preparati ad esso con le opere buone, ma piuttosto noi ci arricchiamo di opere buone perché siamo stati prevenuti dall’aiuto di Dio. La nostra anima agisce alle dipendenze di Dio come uno strumento nelle mani di chi lo usa. Quindi l’anima non può prepararsi a ricevere l’influsso di Dio se non in quanto agisce per la virtù di Dio. Il premio è proporzionato al merito, poiché nella retribuzione va osservata l’uguaglianza della giustizia. Ora, l’effetto dell’aiuto divino, che supera la capacità della natura, non è proporzionato agli atti che l’uomo produce con le sue capacità naturali. Quindi vale il titolo.Di qui Tt 3,5: «Non per opere di giustizia da noi compiute, ma per la sua misericordia egli ci ha salvati»; Rm 9,16: «Non è di ci vuole», cioè volere, «né di chi corre», cioè correre, «ma di Dio che usa misericordia». E ciò perché l’uomo, per volere e agire rettamente, ha bisogno di essere prevenuto dall’aiuto divino […]. Di qui anche Lam 5,21: «Convertici a te, Signore, e ci convertiremo»: dal che risulta chiaro che la nostra conversione a Dio è prevenuta dall’aiuto di Dio che ci converte. In Zc 1,3 però è detto, parlando in persona di Dio: «Convertitevi a me, e io mi convertirò a voi»; non per negare che l’azione di Dio previene la nostra conversione, come si è detto, ma perché egli aiuta anche successivamente la nostra conversione con la quale ci convertiamo a lui, rafforzandola perché giunga al suo effetto, e confermandola perché consegua il debito fine. Viene così escluso l’errore dei Pelagiani, secondo i quali tale aiuto ci verrebbe dato per i nostri meriti; l’inizio poi della nostra giustificazione verrebbe da noi, il coronamento invece da Dio.