(III, 64) Dio governa il mondo con la sua provvidenza
Quanto precede è sufficiente a provare che Dio è il fine di tutte le cose. E da ciò si può procedere inoltre anche a mostrare che egli con la sua provvidenza governa e regge l’universo. Infatti: Chiunque produce qualcosa per un fine, se ne serve per tale scopo. Ora, sopra [II, c. 15] abbiamo dimostrato che tutte le cose comunque esistenti sono prodotte da Dio, e che Dio produce le cose per il fine che è lui stesso. Dunque egli si serve di tutte le cose dirigendole verso un fine. Ma ciò equivale a governare. Quindi è Dio con la sua provvidenza che governa tutte le cose. Chi persegue un fine cura di più il bene più vicino al suo fine ultimo, poiché questo bene è fine anche di tutto il resto. Ora, l’ultimo fine della volontà di Dio è la bontà di Dio stesso, a cui si avvicina al massimo nelle realtà create il bene di tutto l’universo, poiché ad esso sono ordinati i beni particolari […]. Perciò la cosa che Dio cura di più nel creato è l’ordine dell’universo. Dunque egli ne è il reggitore.
(III, 71) La divina provvidenza non esclude totalmente il male dalle cose
Nelle cose compiute e governate da Dio può verificarsi una mancanza e un male per una deficienza delle cause seconde, sebbene in Dio non ci sia nessun difetto. Ci sono nell’universo molti beni che non ci sarebbero se non ci fosse il male, per esempio la pazienza dei giusti se non ci fosse la malvagità dei persecutori […]. Se quindi il male fosse del tutto eliminato nell’universo dalla provvidenza divina, ne sarebbero necessariamente diminuiti molti beni. Ora, ciò non deve accadere, poiché è più fecondo il bene nella bontà che il male nella malizia [cf. II, c. 12]. Il bene del tutto è superiore al bene di una parte. Perciò è compito del saggio governante tollerare la mancanza di bontà di una parte per accrescere la bontà del tutto. – E così via. Di qui le parole di Isaia (45, 7): «Io faccio il bene e provoco la sciagura» e di Amos (3, 6): «Non c’è un male nella città che non sia compiuto da Dio». Per quanto poi riguarda le azioni cattive, esse in quanto tali non derivano da Dio, ma dalle cause prossime manchevoli; in quello però che hanno di efficienza e di entità, è necessario che siano da Dio.
(III, 72) La divina provvidenza non esclude la contingenza dalle cose
Gli effetti si dicono contingenti o necessari in base alle loro cause prossime, non a quelle remote […]. Perciò, siccome tra le cause prossime ve ne sono molte che possono venire meno, non tutti gli effetti sottoposti alla divina provvidenza saranno necessari, ma molti sono contingenti. – L’ente si divide in contingente e necessario. Se dunque la provvidenza divina escludesse ogni contingenza, non si avrebbero tutti i gradi degli enti. Ciò che è necessario esiste sempre. Nessun corruttibile invece esiste sempre. Se dunque la divina provvidenza richiedesse che tutto sia necessario, ne seguirebbe che nelle cose non ci sia nulla di corruttibile, e di conseguenza nemmeno di generabile. Si sottrarrebbe quindi alle cose tutta la parte dei generabili e dei corruttibili. Il che pregiudica la perfezione dell’universo. In ogni moto si ha una qualche generazione e corruzione: infatti in ciò che si muove qualcosa inizia e qualcosa finisce. Se dunque, sottratta la contingenza delle cose, venisse sottratta ogni generazione e corruzione, ne viene che verrebbe sottratto anche il moto, e tutte le realtà mutevoli.
(III, 73) La divina provvidenza non toglie l’esercizio del libero arbitrio
La causalità contingente della volontà [, diversamente da quella degli esseri inanimati,] deriva dalla sua perfezione, poiché essa possiede una virtù che non è limitata a un unico effetto, ma ha il potere di produrre un effetto e il suo contrario, essendo disponibile per entrambi. Perciò la divina provvidenza ha più il compito di conservare la libertà della volontà che non la contingenza delle cause naturali. – La volontà può produrre effetti multiformi. Non può quindi competere alla provvidenza di escludere la libertà della volontà. Il fine ultimo di qualsiasi creatura è di conseguire una somiglianza con Dio, come si è visto [c. 19]. Sarebbe quindi incompatibile con la provvidenza togliere a una cosa ciò mediante cui essa consegue la somiglianza con Dio. Ora, un agente volontario consegue una somiglianza con Dio per il fatto che agisce liberamente, poiché nel Primo Libro [c. 80] abbiamo dimostrato che in Dio c’è il libero arbitrio. Di qui il titolo. Nel Siracide [15,14] leggiamo: «Dio da principio creò l’uomo, e lo lasciò nelle mani del suo consiglio». E ancora (18, 8): «Dinanzi all’uomo stanno la vita e la morte, il bene e il male: gli sarà dato quello che sceglierà».
(III, 74) La divina provvidenza non esclude la fortuna e il caso
È incompatibile con la provvidenza divina, come abbiamo visto [c. 72], che tutte le cose avvengano per necessità. Ora, ciò equivale a dire che alcune cose avvengono in modo fortuito e casuale. Di qui il titolo. La pluralità e la diversità delle cause proviene dall’ordine della provvidenza e della volontà di Dio. Ora, data la diversità delle cause, è necessario che talora l’una si incontri con l’altra, ricavandone un impedimento o un aiuto nella produzione del suo effetto. D’altra parte, dall’incontro di due o più cause accade che qualcosa avvenga casualmente, derivandone un fine imprevisto. Dunque ciò non è incompatibile con la divina provvidenza. Di qui le parole del Qoèlet (9, 11): «Ho visto che non appartiene agli agili la corsa, né ai valorosi la guerra […], ma che il tempo e il caso dominano su tutto», cioè su tutti gli esseri inferiori.
(III, 75) La provvidenza di Dio si estende ai singolari contingenti
La loro esclusione dalla provvidenza infatti potrebbe giustificarsi solo per la loro contingenza, e per il fatto che in essi avvengono molte cose in maniera casuale e fortuita, poiché così soltanto queste entità differiscono da quelle incorruttibili e da quelle universali degli esseri corruttibili, alle quali certi autori restringono la provvidenza. Ora la provvidenza, come abbiamo detto [cc. 72 ss.] non è incompatibile con la contingenza, il caso e la fortuna. Dunque nulla impedisce che la provvidenza riguardi anche queste entità, come gli incorruttibili e gli universali. Tutte le cause seconde, in quanto sono cause, conseguono una somiglianza con Dio, come si è visto [c. 21]. Ora, in tutte le cause che producono qualcosa, si riscontra che esse hanno cura di ciò che producono, come gli animali nutrono naturalmente i loro nati. Perciò anche Dio ha cura delle cose di cui è causa. D’altra parte è causa anche di questi enti particolari [cf. II, c. 15]. Ha quindi cura di essi. In Mt 10, 29 si legge: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nessuno di essi cade a terra senza che il Padre mio lo voglia»; Sap 8,1: «Essa si estende con potenza da un’estremità all’altra», cioè dalle creature più alte a quelle più basse; Ezechiele (9,9) condanna l’opinione di alcuni che dicevano: «Dio ha abbandonato la terra, il Signore non vede»; Gb 22,14: «Passeggia intorno ai cardini del cielo, e non considera le nostre opere». Viene così confutata l’opinione di certuni secondo i quali la provvidenza divina non si estende ai singolari. Opinione che da alcuni viene attribuita ad Aristotele, sebbene non la si possa riscontrare nelle sue parole.
(III, 76) La provvidenza di Dio su tutti i singolari è immediata
Dio ha la conoscenza immediata dei singolari conoscendoli non solo nelle loro cause, ma anche in se stessi [cf. I, cc. 65 ss.]. Ora, è impossibile che egli conosca i singolari senza volere il loro ordine reciproco, nel quale si trova principalmente il loro bene, essendo la sua volontà il principio di ogni bontà. Occorre dunque che, come conosce immediatamente i singolari, così immediatamente stabilisca il loro ordine. La sapienza di Dio intende ordinare tutti e singoli gli effetti che in qualsiasi modo derivano dalla sua virtù anche nelle più piccole cose. Perciò con la sua provvidenza Dio pensa immediatamente all’ordine di tutte le cose. Di qui le parole di san Paolo [Rm 13,1]: «Le cose che sono da Dio, sono ordinate». E quelle di Giuditta [9,5]: «Dio, Dio mio, tu hai preordinato ciò che ha preceduto quei fatti, e i fatti stessi e ciò che è seguito».
(III, 77) L’attuazione della provvidenza si realizza mediante le cause seconde
Rientra nella dignità di chi governa avere molti ministri ed esecutori vari del proprio governo, poiché questo appare tanto più alto e più grande quanto più numerosi sono i ministri ad esso subordinati nei vari gradi. Ora, la dignità di nessun governo è paragonabile alla dignità del governo di Dio. Quindi è conveniente che l’attuazione della divina provvidenza avvenga mediante diversi gradi di cause agenti. L’ordine delle cause è più nobile di quello degli effetti, come la causa è superiore all’effetto. Perciò l’ordine della divina provvidenza è più visibile in esso. Ora, se non ci fossero cause intermedie col compito di attuare la provvidenza divina, nell’universo non ci sarebbe l’ordine delle cause, ma solo quello degli effetti. Dunque la perfezione della provvidenza divina esige che ci siano cause intermedie sue esecutrici. Di qui le parole del Salmista (102, 21): «Benedite il Signore, voi tutte sue schiere, suoi ministri che fate il suo volere»; (148,8) «Fuoco, grandine, neve, gelo, vento di bufera che obbedisce alla sua parola».