Viltà (II-II, 125)

La viltà, o paura

Articolo 1

Se la viltà, o paura, sia un peccato

Quando la volontà fugge un male che la ragione detta di sopportare per non abbandonare un bene che deve essere perseguito, allora si ha un timore disordinato, che è peccaminoso. Quando invece la volontà per paura abbandona ciò che secondo la ragione deve essere fuggito, allora l’atto non è disordinato, e non è un peccato.

Articolo 2

Se il peccato di timore, o di viltà, si contrapponga alla fortezza

Si dice, per antonomasia, che il timore, o viltà, si contrappone alla fortezza.

Articolo 3

Se la viltà sia un peccato mortale

Il disordine della paura talora si limita all’appetito sensitivo, e allora non può essere un peccato mortale, ma solo veniale. – Talora invece tale disordine scuote anche l’appetito razionale, o volontà […]. E tale disordine è un peccato a volte mortale, a volte veniale.

Articolo 4

Se la paura scusi dal peccato

Se uno, per sfuggire un male che secondo la ragione merita di essere fuggito maggiormente, non si sottrae a mali meno gravi, non commette peccato […].

Se uno invece, per fuggire vilmente dei mali che secondo la ragione sono più intollerabili, incorre in mali che secondo la ragione sono meno da rifuggire, non può essere scusato totalmente dal peccato […]. Tuttavia la sua colpa è minore, poiché ciò che è compiuto per paura è meno volontario.

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